Bio
Lettura critica a cura di Mauro di Vito
Nelle opere di Nicola Testoni affiorano, come un relitto al ritiro delle maree, i valori della sopravvivenza (e) del figurativo, che il naufragio di questa poetica, nel secolo scorso, ha segnato in modo indelebile. La sua poetica degli oggetti (in particolare quella della natura morta e dei ritratti) è tutta intrisa di una tensione ontologica, in cui gli oggetti stessi, come in un itinerario memoriale, compongono un vero e proprio bestiario magico. Non sono più di una trentina le cose che strutturano le tavole di questo libro illustrato, un volume che ci racconta, come in un soggettario, le derive simboliche, i correlativi oggettivi che questi stessi oggetti hanno assunto, nella vita quotidiana dell’artista. Una severa e ponderata aderenza alla realtà e alla luce, che bagna le cose come in un quadro di Piero della Francesca, cribrato però dalle atmosfere più dense di Casorati, segna le immagini con una tecnica quasi scultorea, ottenuta attraverso l’uso sapiente delle spatole, sulla superficie del supporto. Lo studio cromatico vi s’innesta, come in un riflesso fotografico, poiché con la luce e con il colore esso è ristabilito, nello spazio della pittura, come in un sogno. L’umile lavoro di studio delle forme sospende le persone e gli oggetti in un’atmosfera onirica, tagliente e piatta come le spatole, con un’insistenza formulare che ricompone un ordine umile e rarefatto. La dottrina della pittura in senso tecnico e artistico trova nei suoi dipinti picchi di una concentrazione metafisica graffiante; da una parte il rigore formale delle composizioni, dall’altra la semplicità pura delle invenzioni, concorrono entrambe a generare immagini profondamente umane, svuotate di ovvietà e riempite di una sacralità quasi irreligiosa. Lo sguardo di Testoni è concentrato e rispettoso, ma con la sua capacità analitica illumina per noi le cose da un punto di vista sospeso e quasi cosciente della sopravvivenza degli oggetti rappresentati. La cuccuma blu, lo scrigno di legno, le trecce d’aglio, la tazza, la pennellessa, il sottomarino, le mele (dall’evidente portato simbolico) i cetacei, i dinosauri, i pachidermi, i cavalli a dondolo e i giochi fluttuano nello spazio, come gli animali delle stampelle dei capitelli di un chiostro gotico e riportano nel loro tornare a galla, da un tempo e uno spazio remoti, una presenza mitologica e divinante, che risveglia il mistero della vita degli oggetti e li rianima in un universo appartato, in uno spazio sacrale e conchiuso. Il momento più profondamente allegorico della sua opera è consegnato ai ritratti, con o senza maschere di scimmia, in essi Nicola Testoni si abbandona a un’espressione figurale dei suoi valori morali, che gli oggetti, di per sé stessi tabù, sono meno permeabili a rappresentare. Oltre alla pudicizia quasi compulsiva con la quale i personaggi sono riportati sulla tela, si nota la presenza iconografica di attributi: megafoni, telefoni, pennelli, che sono tutti strumenti di comunicazione e che sembrano indicare un senso di indisseppellibilità della parola e dell’immagine, contro la quale il pittore combatte in senso anche materiale nella mestica dei colori (spesso dai toni terrosi) e nella loro stesura. Le maschere di scimmia servono, come le maschere di uno stregone, a disseppellire l’anima ancestrale delle persone e a smascherare (in senso paradossale e antifrastico) la nostra natura anticonvenzionale, disordinata (nell’ordine estremo della tela), a svelare l’energia vitale che genera i solidi dei corpi e li proietta nello spazio. Un pensiero magico e analogico codifica in questi dipinti un messaggio facilmente leggibile, immanente, e pieno della nostalgia. Prendere atto della finitezza delle nostre vite non serve a superare il limite estremo delle stesse, se non che, affermarlo con chiarezza, è l’atto magico della sopravvivenza, la stessa che riporta in vita gli oggetti del passato, i dinosauri estinti e che riesce addirittura, poeticamente, a far fluttuare i simulacri delle balene della Schleich nell’aria irreale di una stanza.
Mauro Di Vito 20 ottobre 2016
Lettura critica a cura di Alessandra Menesini
(In occasione della mostra personale TREX )
Non conoscono leggi fisiche o proporzioni, le figure di Nicola Testoni. Si appaiano in assoluta libertà, in associazioni incongrue risolte con singolare equilibrio. Avviene così che una balena plani su un piatto di coccio e un rinoceronte si fermi tranquillo accanto a un zufolo che pare una colonna. Fondi corrugati dalla spatola e stesure a olio, per opere che paiono rispettare il vero e la realtà dissolvono . Grande quanto un baule, il sottomarino che naviga senz’acqua. E giganti su una seggiolina, i sandaletti da bambino. Nicola Testoni segue talvolta la suggestione della forma, nello scegliere i suoi soggetti. (…) Sono i guizzi, gli spiazzamenti, le convivenze impossibili ad interessare un autore, giovane, di salda preparazione.Artista sorretto dagli studi anatomici e dalla conoscenza dei canoni classici, che attinge alla categoria dell’assurdo e a quella del grottesco,per esprimersi.
Alessandra Menesini 17 Marzo 2016
Lettura critica a cura di Roberta Vanali
(In occasione della mostra collettiva Fingerprints)
Un’opera d’arte per diventare immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi del buon senso e della logica. (Giorgio De Chirico)
Dall’accostamento di elementi apparentemente estranei tra loro prende avvio la ricerca di Nicola Testoni che al razionalismo scientifico accosta un immaginario tratto dalla tradizione pittorica italiana, passando per la Metafisica e il Novecento e approdare in un ambito attiguo alla tendenza New Folk. Un proposito d’indagine tra fascinazione estetica e sovvertimento del significato semantico che determina un apparente non sense. Così qualsiasi elemento del reale può improvvisamente cambiare di “segno” e ciò che normalmente è rassicurante può improvvisamente non esser più tale.Una sensazione di estraniazione scaturita dal contrasto tra ciò che riguarda l’infanzia e ciò che con essa apparentemente non ha alcun legame. E dall’insistenza di mettere a fuoco un soggetto replicandolo più volte.
Con sguardo lucido e disincantato, in un contesto dall’atmosfera sospesa, l’artista attinge dalla fiaba di Pinocchio per accostare un burattino completamente disarticolato a un telefono o a una trottola – cui attribuisce un senso di vorticosità del tempo – per una rilettura dell’infanzia come condizione oramai perduta e per le inquietudini ad essa connesse. Presupposto confermato dalla presenza di elementi come orologi e lumache che l’artista imprime sulla tela con la cura maniacale di chi combatte col proprio caos interiore per giungere all’essenza concettuale.
(Catalogo della mostra inaugurata il 18 dicembre alla Miniera di Serbariu a Carbonia)